The Bad Guy è figlio di Montecristo, Mattia Pascal e Breaking Bad: un mix che fa il botto. La recensione
Crime, mob drama e dark comedy si fondono in un racconto che si ispira alla letteratura classica ma guarda anche al pop moderno: il risultato è qualcosa di davvero nuovo per l’Italia
Fonte: Paolo Ciriello
C’era una volta il crime, semplice poliziesco con uno o più gialli da risolvere, genere amatissimo dai network per la sua forza di fidelizzazione verso il pubblico. È poi arrivato il mob drama, vale a dire il racconto di mafia, più o meno tratto da storie realmente accadute, in cui la criminalità organizzata diventa centrale in un racconto che mette in primo piano i mafiosi e chi dà loro la caccia. Nel frattempo, non ha mai smesso di divertire la comedy, genere che non ha bisogno di presentazioni. Prendete tutti e tre questi generi, agitate bene e versate il contenuto su Prime Video: ecco che nasce The Bad Guy, la prima “crimedy” tutta italiana.
The Bad Guy, recensione: la vendetta abbia inizio
Alla base dell’idea avuta da Giuseppe G. Stasi, Ludovica Rampoldi e Davide Serino, sceneggiatori della serie, c’è la vendetta: quella che il protagonista Nino Scotellaro (Luigi Lo Cascio) decide di mettere in atto contro il latitante Mariano Suro (Antonio Catania), che è riuscito ad incastrarlo ed a farlo passare per un mafioso, lui che la mafia, invece, l’ha sempre combattuta.
Come ogni serie che racconta una vendetta, The Bad Guy segue il piano che il protagonista ha in mente. Ma qui c’è il primo twist del racconto: perché gli sceneggiatori hanno deciso di mettere in scena questa storia per vie differenti rispetto alle solite già provate dalla tv tradizionale.
Ecco che, allora, The Bad Guy crea un’Italia molto simile alla nostra ma in cui -come in una sorta di sliding door- un piccolo/grande dettaglio che risponde al nome di Ponte sullo Stretto (sì, proprio quello) apre la strada ad una realtà alternativa, quella in cui vive ed agisce il protagonista.
Il progetto, insomma, ha delle premesse abbastanza classiche (addirittura di provenienza letteraria, come vedremo tra poco), ma trova la sua forza ed originalità nella messa in scena. Stasi, che è anche regista insieme a Giancarlo Fontana, crea un mondo dove crimine e dark humor co-esistono, si sostengono l’un l’altro e rendono la storia tutt’altro che già vista.
Proprio per questo, vi consigliamo di aspettare a trarre un giudizio della serie: la vera partenza di The Bad Guy avviene solo dopo la prima metà del primo episodio, quando il mondo di Scotellaro si capovolge ed ottiene quell’occasione di mettere in atto la sua vendetta che attendeva da tempo.
The Bad Guy, recensione: da Montecristo a Mattia Pascal, per un’opera contemporanea
Abbiamo citato le influenze letterarie della serie: in primis, non si può non pensare al Conte di Montecristo, come dichiarato dagli stessi creatori della serie, che citano anche Sciascia e L’Odissea. Il tema del viaggio, della vendetta, del desiderio di riunirsi ad un amore lontano sono colonne portanti di tutta la serie.
Gli autori non lo citano, ma Nino Scotellaro a noi ha ricordato un po’ anche Mattia Pascal: proprio come il personaggio di Luigi Pirandello, il protagonista di The Bad Guy si trova di fronte ad un’occasione insperata, quellla di cambiare non solo vita, ma la propria identità, assumendone un’altra. Come Mattia, anche Nino cambia nome (diventa Balduccio Remora, un mafioso che da anni vive all’estero) e si sottopone ad un intervento chirurgico per cambiare parte di quell’aspetto fisico che lo legherebbe troppo al passato.
C’è in The Bad Guy, insomma, un’influenza notevole da parte della letteratura, che viene metabolizzata per un linguaggio totalmente differente, quello delle piattaforma degli anni Venti del Duemila. Il messaggio è evidente: anche per raccontare qualcosa di nuovo, moderno, che parli al pubblico di oggi si può -o, forse, si deve- guardare al passato, a quei classici che proprio in virtù di questa definizione non smettono mai di insegnare.
… e poi ci sono I Simpson e Breaking Bad
Ok la letteratura classica, ma la serie tv di Prime Video ha attinto anche da altri classici, più recenti e provenienti da un altro mass medium, ovvero il piccolo schermo. Anche qui, su ammissione degli stessi autori: “Nelle pause ci siamo rivisti vecchi episodi dei Simpsons”, hanno scritto nelle note di regia.
L’obiettivo era di raccontare la mafia sbeffeggiandola, e la satira simpsoniana ci ha insegnato che si può prendere in giro tutto, senza confini. The Bad Guy, nel mondo che crea puntata dopo puntata, cerca di tenere a mente quell’insegnamento, riversando sui personaggi un’ironia che li rende non migliori o peggiori degli altri, ma umani, con difetti e vizi che fanno da motore alla storia stessa.
E poi c’è la serie maestra per eccellenza: Breaking Bad. La parabola di Walter White, che da maestro di chimica diventa boss dello spaccio di metanfetamina, e che dal nobile intento di voler assicurare un futuro alla famiglia passa alla sete di un potere che lo logora, è un fortissimo richiamo per la costruzione del personaggio di Nino Scotellaro.
The Bad Guy, dai primi episodi che abbiamo potuto vedere, punta proprio a creare un percorso di evoluzione (o involuzione) molto simile ma declinato ai mob drama. Da magistrato a mafioso, ma buono a cattivo, per il protagonista si prospetta una strada ricca di scoperte, di nuovi nemici ma anche di scelte. L’Italia delle serie tv guarda fuori, ammira, invidia, ma finalmente sta imparando a mettere in pratica quanto imparato.